Lo stemma civico di Mestre tratto dal testo anonimo del 1839
Mestre ed il suo contado dal 1338 entrarono in possesso di Venezia nel corso della guerra contro Mastino II della Scala
1, iniziata nel 1336, ed il castello ed il borgo furono quindi assegnati anche formalmente ai Veneziani
durante il dogado di Francesco Dandolo dall’imperatore Lodovico IV il Bavaro; infatti già nel 1336 i Veneziani inviarono un corpo di spedizione
composto da circa 500 armigeri per espugnare il castello di Mestre ma senza successo, tentarono quindi di venirne in possesso con l’inganno ed
il tradimento corrompendo il capitano di Mestre, Tommasino Luchesio da Bologna, il quale però, non ostante avesse dato in ostaggio ai Veneziani
moglie e figlio, svelò il piano di sortita ordito dai Veneziani ad Alberto della Scala che si trovava a Padova e che dunque con un agguato ne fece
strage nella notte concordata per aprire loro le porte del castello; successivamente nel 1337, nel mese di gennaio, Alberto della Scala inviò come
capitano di Mestre, in sostituzione del Tommasino, Giovanni di Lisano che tenne il castello anche quando cadde Padova ed Alberto fu fatto
prigioniero, allora i Veneziani tentarono nuovamente la via della corruzione e promisero 3000 ducati ai mercenari tedeschi di guarnigione nel
castello di Mestre in cambio della consegna della fortezza; i mercenari uccisero il capitano e consegnarono il castello il giorno di San Michele,
il 29 settembre, ad Andrea Morosini, al comando di 500 soldati, che se ne appropriò eliminando una presenza pericolosa a ridosso dell’area dell’antico
dogado veneziano.
A partire dal 1338 dunque il governo del Commune Veneciarum inviò a Mestre un podestà soggetto alla rettoria di Treviso
2; non è noto con certezza il nominativo del primo magistrato inviato a ricoprire tale carica (Francesco Bon?);
in seguito poi da Venezia fu inviato in loco un rettore, con il titolo di podestà e capitano, al contempo con funzioni civili e giudiziarie e
finanziarie e militari, ed un castellano preposto al controllo ed alla custodia del castello con servizio di guarnigione.
Il podestà3 di Mestre (inferiore in grado al Rettore di Treviso cui formalmente era sottoposto), come gli
altri rettori delle varie rettorie dei domini di terraferma e di mare, era un patrizio scelto in seno al Maggior Consiglio con apposita designazione
ed elezione e durava in carica 16 mesi; aveva l’obbligo di dimora nella sede affidatagli pena la decadenza, era tenuto a contenere per quanto
possibile le spese pubbliche al minimo indispensabile, infine doveva presentare una relazione ufficiale a fine mandato (usualmente redatta da un
segretario professionista impiegato nella burocrazia di Stato) per informare le autorità del proprio operato e delle vicende avvenute nella rettoria
durante il suo reggimento; usualmente il podestà e capitano era coadiuvato anche da un camerlengo con compiti di gestione economica della rettoria
e di gestione dell’esazione fiscale.
In un testo anonimo, intitolato Notizie storiche sul castello di Mestre. Dalla sua origine all’anno 1832. E del suo territorio,
pubblicato nel 1839 a Venezia da Angelo Poggi, il cui autore sarebbe stato identificato con Bonaventura Barcella, è presente un elenco,
parziale e lacunoso in riferimento ai primi anni, dei podestà succedutisi dal 1391 al 1797, elenco che qui si riporta a
chiusura dell’articolo.
A proposito della magistratura pubblica di podestà e capitano di Mestre va rilevato che, sebbene non si trattasse di una carica particolarmente
ambita, consentiva comunque a patrizi poveri di ricevere per 16 mesi uno stipendio e di risiedere vicino a Venezia e di essere in contatto,
in quanto facenti funzione di pubblici ufficiali, con le casate magnatizie della città che esprimevano gli eletti agli organi supremi di governo
di Venezia; ne consegue che la podesteria di Mestre rappresentava per molti patrizi un buon incarico pubblico.
La Provvederia di Mestre (stato attuale)
Dal 1452 fu istituito il Consiglio cittadino della comunità di Mestre associato al podestà per l’amministrazione della podesteria,
consesso a capo del quale vi erano i provveditori, cui spettava il titolo onorifico di spettabili e che erano eletti in seno al
Consiglio cittadino tra le famiglie della cittadinanza mestrina facenti parte dello stesso per diritto o aggregate al medesimo per cooptazione
ed ascritte a fronte di un contributo in denaro (il Barcella non solo fornisce l’elenco completo di nomi e cognomi dei provveditori ma anche quello
delle famiglie aggregate alla cittadinanza di Mestre tra il 1576 ed il 1866, ovvero ben oltre la caduta della Serenissima, e persino l’elenco
dei notai esercitanti a Mestre dal periodo medievale al 1827; dalla lettura dei cognomi degli elenchi e dei molti documenti copiati dal Barcella
si nota la ricorrenza delle stessa famiglie nel novero dei notai, dei deputati del Popolo, dei provveditori4
e dei loro segretari ecc.; Zoccoletto spiega bene le dinamiche interne al Consiglio ed i contrasti tra le famiglie dello stesso e con il
corpo dei popolani e si sofferma sulle malversazioni perpetrate da vari consiglieri a danno della Comunità).
Dal Barcella si apprende che la Comunità mestrina, insignita dell’appellativo di Magnifica, era suddivisa in quattro corpi almeno
dal XVII secolo, ovvero clero, cittadini, distrettuali e forestieri, e che comprendeva il borgo ed il castello di Mestre oltre al contado
denominato “mestrina”.
Il consesso dei provveditori dal 1459 prese sede nella Provveditoria5, detta anche Provvederia,
sita nell’attuale via Palazzo a Mestre (dunque entro la cinta muraria del castello), edificio il cui aspetto architettonico fu modificato
nel 1525 e poi nel 1926 con alcune manomissioni e rifacimenti.
Riporta sempre l’autore del volume del 1839 che Mestre aveva un Consiglio civico composto da 30 famiglie cittadine e che era presieduto dal
podestà; l’autore ritiene probabile che l’istituzione del Consiglio sia stata coeva e contemporanea all’invio del primo podestà veneziano, ricorda
inoltre che il Consiglio si adunava nei giorni di san Stefano e san Giovanni per le nomine alle cariche comunali, e che aveva sede nell’attuale
Provveditoria e che, qualora venisse ad estinguersi una delle famiglie originarie componenti il suo consesso (maschi adulti oltre i 21 anni d’età
e laici, almeno fino al 1658 quando una “parte”, nel senso di deliberazione o decreto, sancì la possibilità di ammettere anche ecclesiastici),
provvedeva a cooptare un’altra famiglia a fronte di un esborso di 50 ducati a seguito di opportuna autorizzazione del governo di Venezia; ricorda
l’autore che persino un patrizio veneto, il nobil uomo Alvise Emo, nel 1659 chiese ed ottenne di essere aggregato a tale novero di famiglie cittadine;
apprendiamo inoltre dal medesimo autore che vi erano tre provveditori6 con carica di un anno con ufficio nella Provvederia;
i provveditori erano coadiuvati da un cancelliere detto de Comun (un notaio del collegio mestrino) che svolgeva la mansione di loro segretario ed era
stipendiato dal Comune e durava in carica un anno e redigeva dei libri con gli atti e le delibere del Consiglio, dei provveditori di Mestre e del governo
di Venezia; due provveditori ed un cancelliere alla Sanità provvedevano poi all’amministrazione di detta materia nel borgo e nel contado, sempre stipendiati
e con carica annuale; pure alle dipendenza del Comune vi erano un avvocato delle prigioni, alcuni piovegani e soprapiovegani (si occupavano della viabilità,
quindi della cura di strade e ponti e della manutenzione e pulizia di fossi ecc.), un medico in condotta con mandato triennale, anch’egli al soldo
del Comune, e, dal 1665, un nunzio (con mandato quinquennale) residente in Venezia per difesa delle istanze della Comunità mestrina; il Consiglio poi
disponeva della chiesa arcipretale di San Lorenzo e ne amministrava i beni tramite un sindaco all’uopo nominato tra i cittadini;
la Comunità di Mestre poteva designare due cavalieri di Comun (connessi alla gestione delle esazioni fiscali) le cui qualifiche necessarie alla nomina
furono stabilite dal podestà veneziano con apposita “parte” e la cui elezione era sottoposta a contumacia di due anni (dal 1685); infine fin
dal 1576 si archiviarono le scritture e gli atti della Comunità in modo sistematico.
La Provvederia di Mestre (stato attuale e stato antecedente al restauro) e via Palazzo con la torre civica dell’orologio (già parte della dimora dei Collalto) sullo sfondo
L’edificio sede della Provveditoria, monumento particolarmente significativo ed importante del patrimonio
storico architettonico mestrino ancora superstite, oggi si presenta così ed è così composto:
un corpo di due piani sul piano terra, a pianta rettangolare, con un porticato a due archi a tutto sesto retti da tre pilastri in laterizio
sul lato prospicente via Torre Belfredo ed una scala in mattoni con gradini e parapetti a colonne litiche sul lato di via Palazzo che porta
al secondo piano cui si accede da una porta rettangolare sul cui architrave vi è la scritta latina Consilium Civilium; la scala
7, ora retta da muratura (nella parete si apre una piccola feritoia) e da due archi a tutto sesto su colonne
litiche a capitelli a foglie d’acqua (dotata di 36 gradini in pietra e di parapetti composti da sette moduli di quattro colonnine ed un pilastrino,
opere di rifacimento novecentesco), si erge sulla facciata principale dell’edificio rinascimentale che al piano terreno ha una finestra rettangolare
con cornice litica, al primo piano reca un’altra finestra rettangolare con cornice litica in asse con l’inferiore ed un portale d’accesso
rettangolare, forse esito di una modifica posteriore all’edificazione, ed una targa commemorativa a cartiglio con iscrizione in latino sulla
parete in mattoni, infine al secondo piano presenta cinque bucature, cioé la porta d’accesso timpanata (sopra il timpano della quale c’è un
inserto litico rettangolare con due stemmi in scudetti mistilinei ed un leone marciano in moeca in tondo entro una corona d’alloro,
quest’ultimo in materiale metallico probabilmente risultato del restauro del 1926), la trifora con colonnine e pilastrini con capitelli a foglie
e volute e triglifi, sormontata da una cornice litica decorativa a guisa di marcapiano (ma originariamente era inclusa in un’unica lastra di cui
forse è parte superstite), la finestra timpanata simmetrica al portale d’accesso ora con parapetto in pietra ma risultato di modifica del foro
finestra il cui davanzale era allineato al piano della trifora; la copertura dell’edificio è con tetto a capanna a due falde su timpano frontale
triangolare modanato da cui è scomparso il rosone traforato (si veda la stampa); il secondo piano presenta anche sulla facciata laterale una
trifora analoga a quella del lato di via Palazzo, in origine di tipo bizantino con colonne e capitelli (almeno sino ai primi del Novecento) ed
ora con pilastrini (al 1909 aveva anche una terrazza a sporto su quattro mensole sagomate), oltre ad una finestrina quadrata oggi cieca e murata
sormontata da una tettoia a falda su due mensole che era collocata sull’altro lato della medesima parete ad incorniciare un’immagine votiva (?)
forse rimossa e perduta (o è quella ora a pianoterra entro la cappella?), al sommo tra parete e tetto vi è una putrella imbullonata inserita
durante il restauro (a cui si deve la cerchiatura dell’edificio), sulla parete, a destra della trifora, si trova un’altro stemma litico
in scudetto gotico; sul lato del cortile (angolo Cattapan) l’edificio presenta due monofore rettangolari al primo piano, una monofora cieca
al secondo piano con arco a tutto sesto, una canna fumaria (sporgente a guisa di lesena) con comignolo sulla falda destra del tetto;
la facciata su via Torre Belfredo ha due monofore ed una porta a piano terra ed un porticato con soffitto ligneo a cassettoni con riquadri bianchi
e rossi (gli originari colori di Mestre derivati dallo stemma di Treviso) con rosette centrali polimorfe, alle pareti ampi lacerti di affreschi
raffiguranti entro cerchi contatenati emblemi araldici con leoni rampanti rossi (entro scudi bianchi) e leoni marciani gialli inclusi in tondi
azzurri e grifi gialli rampanti che germiscono altrettanti galli (in scudi bianchi), il tutto su fondo con tralci e vasi con foglie di vite e
grappoli d’uva (probabilmente ritoccati in stile durante il ripristino novecentesco); a modanatura la scritta latina RUDERE VETUSTATE Q OBSOLETUM
AEDIFICIUM PETRI ALEXANDRI LIPPOMANI PRET AC PRAEFECTI OPTIMI PROVIDENTIA CIVES MESTRINI PRAESENTI NITORI RESTITUENDUM CURARUNT MDXXV CIVIUM
PROVISORIA e targa novecentesca con iscrizione italiana; all’angolo dell’edificio un grifone porta lanterna in metallo al secondo piano,
al pianterreno la colonna litica d’angolo del porticato la quale presenta alcune iscrizioni in latino (MEN PASSUS VENETI MOLENDINOR 1586:
ovvero mensura passus veneti molendinorum cioè la misura cui dovevano uniformarsi e riferirsi coloro che dovevano contribuire alla macina)
e cinque tacche divise in due quale campione di unità di misurazione (spiega l’autore anonimo che F.P.L.F. stanno per «Fieno, Paglia, Legne
e Fassi» e che «il Passo era diviso in 5 piedi e suddiviso in oncie»8). Le varie inferriate ed il sacello
votivo con la Madonna ed il Bambino ricavato tra la scala ed il porticato, con il pavimento in mattoni a spina pesce, chiuso da cancelli, sembrano
frutto di manomissioni successive all’edificazione dell’edificio che presenta anche segni di bucature cieche a seguito di modifiche delle stesse;
anche tutti i tiranti presenti oggi in molti punti della struttura si devono ad interventi di consolidamento posteriori alla riedificazione
cinquecentesca9.
Egle Trincanato, veduta della Provveditoria di Mestre da viale Garibaldi, disegno a penna su carta, anni '90 del Novecento, Fondo Trincanato, Archivio Progetti IUAV
Note:
1 - Can Francesco della Scala detto Cangrande avendo costretto Treviso alla capitolazione nel 1329 era venuto in possesso anche di Mestre che apparteneva ai castelli sotto la giurisdizione della Marca Trevigiana; morto Cangrande dopo pochi giorni dalla presa di Treviso, forse per avvelenamento, i successori Mastino II ed Alberto II della Scala (fratellastri in quanto figli di Alboino, fratello maggiore di Cangrande, ma concepiti da madri diverse, rispettivamente Caterina Visconti e Beatrice da Correggio) lasciarono a capo del castello di Mestre in loro vece un castellano.
2 - Scrive Sergio Barizza: «Nel 1339 il doge Francesco Dandolo ripartì il territorio trevigiano in quattro podesterie fra cui quella di Mestre. Dalla lettera ducale si rileva che alla podesteria di Mestre appartenevano le ville di: Zelo, Zelarino, Trivignano, Terù, Assignano, Chirignago, Pirago, Parlano, Brusolo, Silvanerio,Spinea, Creda, Russignago, Orgnano, Campalto, Tombello, Tessera, Paliaga, Martellago, Pesegia,Cappella, Maerne, Favaro, Carpenedo, Santa Maria di Dese.A capo della comunità fu posto il Podestà, cui venne affiancato un magistrato con funzioni militari chiamato Capitano del Borgo e, nei momenti di grande difficoltà politica della Repubblica, quali la guerra tra Venezia e Genova, vennero aggiunti un Castellano per il castello di Mestre e per i villaggi del circondario, e un Provvisore (amministratore del territorio eletto dal Senato).».
3 - Scrivono i curatori de Guida alle magistrature, Cierre, Verona, 2003, che: «Il podestà (ndr: si
riferiscono alla carica in generale), detto talora “pretore”, aveva anche giurisdizione in materia civile e penale (ndr: svolgeva
la funzione di giudice) assistito da giurisperiti del luogo e in conformità agli statuti e alle consuetudini locali (ndr: aspetto
rilevantissimo che spiega l’esistenza di Consigli civici), e le sue sentenze erano appellabili agli auditori nuovi o agli avogadori de comun,
che le intromettevano alla Quarantia al criminal o alla civil.». Continuano poi i suddetti curatori: «Il capitano, detto anche prefetto,
aveva cura delle forze armate, composte dai residenti e con una funzione di milizia territoriale, nonché di mantenere in buono stato tutte le opere
di difesa.».
A proposito della carica di rettore, podestà e capitano si rimanda anche a Emiliano Balistreri, Prontuario delle Istituzioni e delle
Magistrature di Venezia, Aracne, Roma, 2013, e soprattutto ad Andrea da Mosto, L'Archivio di Stato di Venezia. Indice generale, storico,
descrittivo ed analitico, Biblioteca d'arte editrice, 1937, testo fondamentale (cui l’autore del presente articolo ed i curatori del volume
precedentemente citato hanno attinto informazioni e nozioni).
4 - Eletti per ballottaggio tra i consiglieri dei Consiglio civico detto anche Collegio (così come avveniva anche per i cavalieri de Comun) con sistema similare a quello vigente nelle elezioni delle magistrature veneziane in cui i candidati, scelti nel corpo degli aventi diritti politici di elettorato attivo e passivo, erano designati da elettori estratti a sorte e poi votati per quorum. In collezione privata bancaria esiste un ballottino settecentesco utilizzato dal Consiglio della Comunità mestrina per le elezioni interne allo stesso, ballottino che reca lo stemma di Mestre con lo scudo sannitico a cartiglio con il leone marciano nel quarto superiore sinistro e le lettere MF (Mestre fidelissima) nei due quarti inferiori e la croce bianca in campo azzurro (vedasi Giorgio Crovato, Il patrimonio Carive, Cremona, 2012); si specifica che in origine il fondo dello scudo dello stemma cittadino era rosso come quello di Treviso, mutato in azzurro dopo il passaggio al dominio veneziano, invece le lettere MF rimandano al titolo onorifico di Mestre fidelissima attribuito alla comunità (che aveva meritato anche l’appellativo di Magnifica) almeno dal 1475 per la fedeltà dimostrata alla dominante.
5 - Scrive Sergio Barizza: «Nel 1457 il Consiglio chiese al Podestà il permesso di costruire una nuova loggia, per le periodiche riunioni, al posto della vecchia non più utilizzabile. Essa fu costruita all'incrocio tra la strada che veniva dalla porta di S. Lorenzo e quella della porta di Campocastello. Si tratta dell'attuale Palazzo della Provvederia. Di fronte, nel 1459, fu edificato il palazzo del Comune dove si tenevano le assemblee del Consiglio Civico. Nelle adiacenze della loggia fu costruito il Palazzo Podestarile che ospitò i Podestà fino alla caduta della Repubblica. Il Consiglio Civico, sotto la presidenza del Podestà, nominava alcuni funzionari come: "gli estimatori di comun, l'esattore delle pubbliche gravezze, i sindaci della chiesa di S. Lorenzo, il medico della terra di Mestre, l'avvocato delle prigioni".».
6 - Riferisce il solito autore anonimo che vi era l’usanza di inviare i provveditori a Venezia non appena eletto il podestà di Mestre per riverirlo, porgere le congratulazioni del caso ed il saluto della Comunità.
7 - In origine era retta da tre colonne del porticato e da muratura, è stata poi ulteriormente tamponata in muratura nel 1926 forse per problemi statici cambiando così aspetto con l’inclusione anche del vano, chiuso da cancelli, adibito a cappella votiva; presumibilmente anche la balaustra in ferro visibile in un acquerello del 1909 (?) non era originale così come l’attuale teoria di colonnine.
8 - Il piede veneto misurava cm 34,7735.
9 - Da un’incisione dichiarata ottocentesca (o si tratta di una stampa del XX secolo?), confortata da una fotografia pubblicata in Pietro Bergamo, Mestre. Vecchie immagini, Liberalato Editori, Mestre, 1987, si evince una situazione dell’edificio completamente diversa: i due pilastri angolari avevano una scarpa di rinforzo, tutta la parete su via Torre Belfredo era stata tamponata e quindi era cieca con tutte le bucature murate, la parte superiore degli archi era murata con solaio e bucature ovali (esisteva un solaio a livello diverso dell’attuale), la scala era in parte murata, in facciata il primo portale era timpanato ma con timpano arcuato ed il portale del secondo piano non presentava timpano ma era sormontato da un piatto decorativo aggettante ovoidale; dunque da tale testimonianza iconografica risulta difficile capire quanto dell’attuale aspetto sia originale o quanto invece sia frutto di un restauro di mera invenzione piuttosto che filologico (come era appunto prassi nei primi decenni del Novecento).
Si riporta qui di seguito l’elenco parziale dei podestà veneziani di Mestre stilato dal Barcella.
Conessi ai podestà di Mestre restano vari documenti e svariate testimonianze tra cui ad esempio lo stemma di Daniele Bembo (1493) all’interno della chiesa di San Girolamo a Mestre e la Commissione ducale del doge Francesco Donà a Girolamo Querini (manoscritto della Biblioteca Marciana), podestà di Mestre nel 1550 non menzionato nell’elenco qui riportato.
Bibliografia di riferimento: